All’inizio di ottobre Papa Francesco ha presentato al mondo la sua enciclica Fratelli tutti. Il suo messaggio, un invito a una fratellanza umana che non esclude nessuno, è radicato nella visione dei profeti ebrei. A cominciare da Amos, Isaia, Osea e Michea, i profeti prefiguravano un tempo in cui le persone non avrebbero più brandito le spade le une contro le altre. Al contrario, ogni popolo avrebbe riconosciuto a modo suo il Creatore, che si aspetta giustizia e amore da tutta l’umanità. Questa visione è anche alla base del successivo sviluppo sia del cristianesimo sia dell’ebraismo rabbinico e ha sicuramente ispirato il Papa in questo momento critico nella storia del mondo.
Uno dei temi centrali dell’enciclica è una frase alla quale Francesco attribuisce grande importanza: «dialogo con l’altro». Il Papa invita un’umanità frammentata a vedersi come unità, come famiglia. Propone una riflessione potente sulla parabola del buon Samaritano per trasmettere la lezione fondamentale che anche il covid-19 ci sta insegnando: la necessità urgente di superare le divisioni attraverso incontri e dialoghi che portino alla conoscenza e all’affetto tra i popoli.
La tradizione rabbinica post-neotestamentaria ha sviluppato idee analoghe. Il midrash Bereishit Rabbah, 24 racconta di una diversità di opinione tra il saggio Shimon Ben Azzai e il famoso Rabbi Akiva. Akiva sosteneva che il versetto biblico del Levitico 19, 18, «amerai il tuo prossimo come te stesso» è il principio fondamentale della Torah, ovvero che ne riassume l’essenza. Ben Azzai affermava invece che il versetto di Genesi 5, 1, «Questo è il libro della genealogia di Adamo. Quando Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio», sintetizzava meglio la Torah. Circa due secoli e mezzo dopo, Rabbi Tanchuma analizzò la posizione di Ben Azzai. Se ci si basasse solo su Levitico 19, 18, spiegò, si potrebbe erroneamente dire: «Poiché vengo disprezzato, dovrei disprezzare anche il mio prossimo; poiché sono stato maledetto, maledirò anche il mio prossimo». Ma, sostenne Tanchumah, «se agisci in quel modo, devi renderti conto chi è che sei disposto a vedere umiliato: uno che è stato fatto “a somiglianza di Dio”». In altre parole, dobbiamo vedere lo splendore di Dio nel volto del nostro prossimo.
È interessante osservare il parallelismo tra questa discussione rabbinica e Matteo 22, 36-40. Qui Gesù combina il Levitico 19, 18 con il Deuteronomio 6, 4, «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Vediamo così che sia il cristianesimo sia l’ebraismo rabbinico traggono un’intuizione simile dall’Israele biblica: l’amore di Dio è inscindibilmente legato all’amore del prossimo. O, come dice l’enciclica, poiché siamo tutti creati a somiglianza di Dio, dobbiamo essere «prossimo senza frontiere».
Un capitolo di Fratelli tutti è dedicato alle religioni che sono tutte al servizio della fratellanza umana. È dunque una felice coincidenza che in questo stesso mese in cui è stata pubblicata l’enciclica ricorra anche il 55° anniversario della pubblicazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate. Quest’ultima viene menzionata esplicitamente nel numero 277 di Fratelli tutti, ma il suo spirito di dialogo è presente in tutta l’enciclica.
Primo frutto dell’incontro tra ebrei e cattolici iniziato dopo la shoah e dopo secoli di malintesi e disprezzo, Nostra aetate è stata una pietra miliare nella storia delle relazioni tra ebrei e cattolici. Il grande risultato che ha ottenuto è stato di portare a misure concrete per promuovere l’amicizia tra ebrei e cattolici. Occorrevano il riconoscimento delle mancanze del passato, un sincero impegno ad ascoltare i reciproci punti di vista, un autentico apprezzamento della ricchezza spirituale dell’altro e l’impegno attivo a lavorare insieme a nome dell’umanità. La costruzione di un tale rapporto richiede tempo e prosegue ancora oggi, ma il raggiungimento di un significativo ravvicinamento tra cattolici ed ebrei serve da paradigma per gli sforzi verso la concordia e la comunanza di obiettivi tra tutte le religioni.
L’impatto di Nostra aetate è percepibile anche nel documento sulla «fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune» sottoscritto nel 2019 da Papa Francesco e dal Grande imam Ahmad Al-Tayyeb, al quale fa riferimento Fratelli tutti. Questo testo fondamentale di cattolici e musulmani è frutto del desiderio di Nostra aetate di impegnarsi per «esercitare sinceramente la mutua comprensione» tra le due grandi religioni. Di fatto, l’enciclica conclude citando l’appello congiunto per la pace, la giustizia e la fratellanza: «In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace».
A questo certamente tutti gli esseri umani possono rispondere «Amen!».
Abraham Skorka
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L’immagine è intitolata “The Seven Rabbis in Jerusalem” ed è un dipinto di Theodoro Ralli (1852-1909).
Dal catalogo Sotheby’s: This large-scale genre scene portrays a rabbinic council: seven rabbis discuss the content of a scroll, read to them by an elder at the head of the table. Behind him, a high window affords a glimpse of an Eastern city, presumably Jerusalem. The full glory of Ralli’s discerning eye for detail is evident in the vibrant colours of the figures’ robes, the rich and varied textures of the fur hats, and the contrast between the soft-hued interior and the bright light outside.
While many of the most celebrated European artists painting Middle Eastern and Orientalist subjects created images drawn from second-hand sources and their own imaginations, Ralli was intimately familiar with his subject, and paintings such as the present work display the breadth of his knowledge. From the mid-1880s until 1904, Ralli spent each winter in his studio in Cairo where he was perfectly positioned to explore the surrounding region. He then completed his canvases in Paris, where he had honed his rigorous style of academic realism as a student of the great French Orientalist painter Jean-Léon Gérôme.
The Seven Rabbis in Jerusalem was selected by the curator of the Musée du Luxembourg to hang in the Louvre upon the death of the artist, which would seem to be the source of Bénézit’s erroneous claim that the Musée du Louvre possessed a Ralli titled Les Rabbins. However, the work remained with the artist’s descendants until 1990 (see Katsanaki, p. 546).
Dal sito https://www.sothebys.com/en/buy/auction/2019/19th-century-european-paintings/theodoros-ralli-the-seven-rabbis-in-jerusalem